Il caro energia è destinato a durare nei prossimi anni, ma se non altro sarà un volano verso la transizione energetica.
“Il prezzo del gas in Europa lo fa la Borsa di Amsterdam, o TTF. Lì, elettronicamente, si incrociano i venditori e i compratori della materia prima, fissando il prezzo giorno per giorno. A questo si aggiungono i contratti a prezzo fisso di lungo periodo, che grandi operatori come Eni o Edison, hanno stipulato con Russia o Algeria, ma che fra 2009 e 2016, quando il gas costava poco, sono stati in buona parte abbandonati e di cui nessuno, comunque, conosce quantità e prezzi. In questo complesso meccanismo possono certamente entrare anche speculazioni finanziarie, ma secondo me non sono decisive: quanto esce dal TTF riflette abbastanza bene la situazione nel mondo reale, lanciando un segnale di prezzo sul futuro, che dovrebbe spingere tutti ad agire di conseguenza”.
Sul futuro? Ma non fissano il prezzo giorno per giorno?
“Sì, ma a differenza di quanto accade per l’elettricità, che quando la produci deve essere subito consumata, essendo il metano un gas accumulabile nei tubi e negli stoccaggi, quello che fanno gli operatori è in realtà cercare di predire quale sarà il rapporto domanda-offerta da qui al prossimo mese o oltre, quando l’attuale gas stoccato sarà stato consumato. Per cui se i prezzi sono alti è perché ritengono che la situazione del gas non andrà a migliorare e fra qualche settimana ci vorranno quegli importi per comprarlo o anche di più, per cui cominciano adesso a mettere su delle riserve”.
E cosa prevedono di così negativo?
“Probabilmente che per riempire gli stoccaggi al 90% entro ottobre, nel corso dell’estate gli Stati europei dovranno svenarsi per reperire il gas necessario, come del resto sta già accadendo in Italia dove Snam, eccezionalmente, è stata incaricata a giugno dal governo di fare questo rifornimento a qualsiasi costo (compito passato ora al Gse, ndr), perché i privati con prezzi così alti, non ci pensavano proprio. E la situazione diventerà sempre più critica, per le temperature torride che aumentano i consumi elettrici, la siccità che ferma l’idroelettrico, i prezzi alti che frenano le biomasse, un grande impianto di esportazione di metano liquido negli Usa messo fuori uso da un incendio e naturalmente la Russia, che stringerà via via il cappio. Non è proprio un periodo facile”.
I governi cercano di trovare più rifornimenti altrove, e pensano a tetti del prezzo del gas…
“Cercare gas altrove, persino in Congo e Angola che non hanno export di gas via nave, è una cosa poco utile nell’immediato, perché per costruire o adattare le infrastrutture necessarie serviranno anni. Stessa cosa si può dire per la produzione nazionale, che comunque resterà sempre marginale rispetto ai consumi. Quanto ai tetti al prezzo del gas, la teoria economica ci dice che i venditori, primi fra tutti quelli che lo esportano via nave, andranno a piazzarlo altrove, dove non ci sono tetti”.
In realtà dovrebbe essere un provvedimento limitato al gas russo inviato con i gasdotti, che non può facilmente essere dirottato altrove.
“Credo che Putin abbia messo insieme abbastanza riserve monetarie ormai, vendendoci metano a prezzi stratosferici in questi ultimi sei mesi, per cui forse reagirà al tetto chiudendo del tutto i rubinetti, con la scusa della violazione contrattuale. D’altra parte, è vero anche che interrompere del tutto l’estrazione danneggerebbe i pozzi. Vedremo cosa accadrà se veramente il tetto sarà messo”.
E allora che si fa?
“Personalmente credo che la cosa più importante sarebbe stata, fin dal 24 febbraio, cominciare a fare campagne per la riduzione dei consumi, anche attraverso l’installazione di più rinnovabili per autoconsumo, in tutti i settori dell’economia e della società. Era chiaro che prima o poi saremmo arrivati a questo punto. Inoltre, invece di alterare le dinamiche dei mercati con i tetti, sarebbe più utile creare meccanismi di redistribuzione degli extraprofitti da aumento del gas alle imprese in difficoltà, e blocchi dei prezzi per gli impianti elettrici non termici. In Italia sono già stati introdotti: un prelievo del 25% sugli extraprofitti (a cui ora si è aggiunto un contributo di solidarietà del 10% per chi fa compravendita di gas, ndr), determinati confrontando i bilanci attuali con quelli precedenti, e un limite a 56 €/MWh per certi tipi di FV e di altre fonti rinnovabili. Ci sono però i lamenti da parte degli operatori, che considerano queste misure non eque e fin troppo punitive”.
Anche il meccanismo del prezzo marginale, che prevede che il prezzo del MWh giornaliero lo faccia l’energia più cara entrata nel mix delle offerte, è sotto attacco: ci fa strapagare tutte le fonti energetiche alla stregua del gas. Per la prima volta in Ue stanno pensando di metterci mano.
“Confesso che non so immaginare un meccanismo alternativo. Si potrebbe usare il pay per bid, cioè che ognuno riceva solo il prezzo con cui ha offerto la sua energia. Ma se io sono un operatore FV, per dire, e so che il gas chiederà 350 euro per MWh, mica offro la mia energia a 50 euro, la offro comunque a poco meno di quella del gas. Insomma, si risolve poco. Più probabile che la l’Unione europea proponga di separare il mercato del termoelettrico da quello degli altri e quindi FV, eolico, geotermico e idro competeranno fra loro in una borsa separata, senza essere più trascinati alle stelle dal prezzo del gas”.
Sembra una buona idea…
“Sì, in teoria. In pratica temo succederà che la borsa delle rinnovabili, avendo prezzi più bassi, sarà sommersa dalla domanda, molto oltre la sua possibilità di offerta, il che farà comunque andare alle stelle il prezzo della sua elettricità. E comunque, attenzione, che le rinnovabili si stanno di fatto già separando dal resto delle altre fonti: sempre più spesso i grandi impianti fotovoltaici o eolici non si fanno più per vendere l’energia in Borsa, ma vengono costruiti per soddisfare contratti PPA di fornitura di energia a prezzo fisso per lunghi periodi a qualche privato, o almeno di fornitura annuale della propria energia a qualche broker, perché sono formule ‘certe’ che rassicurano banche e operatori, in questo momento di mercato folle. A questo si aggiunge che tantissimi impianti incentivati cedono già la loro energia al Gse con una sorta di mega PPA, che poi dovrebbe rivenderla nell’ottica di calmierare il mercato e ridistribuire eventuali profitti eccessivi”.
Sembriamo destinati ad avere prezzi alle stelle ancora a lungo?
“Temo che per qualche anno sarà inevitabile, anche se bisognerà trovare il modo per riportarli velocemente a livelli sopportabili o compensarli con redistribuzioni, come dicevo prima, altrimenti rischiamo chiusure a raffica di imprese. Detto questo, attenzione, che avere i prezzi alti dell’energia è la strada maestra per la transizione ecologica: solo pagando le fonti fossili al loro vero prezzo, che comprende anche i problemi geopolitici che esse provocano, si possono creare le condizioni ottimali per passare alle rinnovabili. E infatti siamo ora sommersi di richieste di aziende che vogliono installare impianti per autoproduzione, avere strategie per la riduzione dei consumi e strumenti per monitorarli. Peccato si siano decise solo adesso: ci avessero pensato negli anni scorsi, adesso loro, e tutti noi, non saremmo in guai così seri”.
L’articolo è una sintesi dell’intervista di Alessandro Codegoni a Stefano Cavriani per Qualenergia. Puoi consultare l’articolo integrale a questo link.